Terminato il match più atteso della settimana, anzi delle ultime due, la domanda è piuttosto classica: cosa ci lascia Juventus-Inter? In primis un 1-1 che da un lato non soddisfa i tifosi, tale è la voglia di prevaricare sui rispettivi rivali, ma dall’altro non scontenta di certo gli addetti ai lavori che al fischio finale del signor Guida si ritrovano con la stessa classifica di 24 ore prima.
Un male leggermente maggiore per la Vecchia Signora, che ha condotto bene gran parte del primo tempo passando in vantaggio con Vlahovic. Il pari di Lautaro è quasi immediato, poi il Derby d’Italia scivola via. Un sentiero che ha fornito modo e tempo di riordinare le idee e selezionare tre temi chiave. Per la precisione tre punti, come quelli che sono mancati in Juventus-Inter.
Vlahovic, rabbia e prestazione
Non è stato affatto un periodo facile per Dusan Vlahovic, di certo il più delicato da quando veste la maglia della Juventus. Il serbo, prima di bucare l’Inter, era rimasto a secco per 6 lunghe gare, anche se paradossalmente non è questo il dato da evidenziare. Per la prima volta dal suo arrivo a Torino, infatti, l’ex Fiorentina era stato lasciato fuori – con Verona e Cagliari – esclusivamente per scelta tecnica.
Con l’inedito della titolarità messa in discussione, Allegri ha risvegliato la rabbia del proprio numero 9 che ha risposto presente nella partita più attesa delle ultime annate. Quella valevole per il primo posto. Vlahovic non solo apre le marcature, ma si propizia il gol del vantaggio scippando la palla a Dumfries e chiudendo sull’assist di Chiesa alle spalle di Sommer.
Da lì in poi, un match che Allegri stesso ha definito il migliore da quando ha modo di allenarlo: pulizia tecnica nelle sponde, giocate non banali, duelli aerei vinti. In una serata senza i tre punti, la Juventus ha comunque ritrovato il suo punto di riferimento offensivo.
L’importanza di Cuadrado
20 minuti di Juventus-Inter, anzi 24 se si conta anche il recupero. Tanto è bastato a Juan Cuadrado per ricordare ai tifosi dell’Inter cosa si sono persi in un mese e mezzo in cui è stato fermo per infortunio. Se Inzaghi cercava una risposta dal colombiano, grande e fischiatissimo ex della gara, l’ha trovata dal 70′ di gioco, quando ha richiamato in panchina un apatico Dumfries per fargli posto.
Animato dai mugugni dei suoi vecchi tifosi, Cuadrado si è riproposto come allo Stadium erano tutti abituati a vederlo: intenso, elettrico, pericoloso. Tre cross dei suoi mettono in pericolo la retroguardia della Juventus, il suo mestiere gli fa guadagnare altrettanti falli di cui uno subito da Alex Sandro dopo aver resistito ad una spallata di Kean, a pochi metri dall’area di rigore.
La capacità di creare superiorità numerica, soprattutto in gare bloccate, è uno dei pochi limiti di questa Inter. Un calciatore con queste caratteristiche, se costante e in salute, potrebbe alla lunga fornire un ulteriore boost alla squadra favorita per lo Scudetto.
Mentalità condivisa
L’ultimo dei tre punti è il più prevedibile, per molti di sicuro il più triste. Dopo un primo tempo giocato a carte scoperte e con la consapevolezza di potersi assumere rischi, i secondi 45′ di Juventus-Inter si sono improvvisamente cementati sul pareggio già concretizzato nella prima frazione. Colpa di tante occasioni fallite? No, del fatto che si fa fatica a ricordarne una di un certo spessore.
Sia per la squadra di Allegri che per quella di Inzaghi è scattata una sorta di mentalità condivisa, inconsciamente, che ha portato la Juventus a chiudersi e l’Inter a gestire di più il pallone senza arrembare e scoprirsi. In poche parole, il Derby d’Italia è terminato in pareggio, ma a vincere è stata la paura di perdere dall’intervallo in poi. Il biglietto da visita attuale – ma allo stesso tempo valido nel corso dei secoli – del calcio italiano, il più risultatista al mondo anche quando si traveste da moderno e spettacolare.