Il granata, un colore intenso e ricco di profondità così come la storia di un club che porta questa sfumatura sul suo petto dagli albori: il Torino. Una società antica e tra le più importanti nel campionato italiano e che nella sua storia ha collezionato diversi trofei: 7 campionati italiani, di cui l’ultimo nell’annata del 1975-1976, 5 Coppa Italia, la più recente datata 1992-1993, 3 Serie B, la più vicina nella stagione 2000-2001, e una Coppa Mitroba nel 1991.
Nasce nel 1906 dalla fusione tra il Torinese e i soci dissidenti del Foot Ball Club Juventus che danno così vita non solo ad un società, ma ad un modo d’essere, ovvero al Foot Ball Club Torino. Ed è così che prende il via il cammino di una squadra che scriverà la storia del calcio italiano e che, dopo alcuni anni dalla sua fondazione, si rinforza sempre di più trovando il suo primo grande periodo di splendore con il Presidente Marone Cinzano al comando della società.
Sotto la guida del conte il club granata, che poi prenderà il nome di Torino, comincia a splendere di luce propria ed inizia quel lento cammino che lo porta nel 1927-1928 a vincere il campionato. Questo è solo il primo punto di quella che sarà una storia che ha dell’inverosimile e che lega indissolubilmente i tifosi ad un nuovo avvento, fatto di trionfi e gioie, ma anche di dolori e tragedie, quello del Grande Torino.
Dalla vetta alla tragedia, la parentesi del Grande Torino
Nel 1940 c’è un cambio di rotta improvviso. Il club granata inizia a mettere delle basi solide e durature che lo fanno entrare nella storia. Una storia fatta da chi ha reso importante questa società, per non dire Grande. Ed è infatti qui che entra in gioco la favola, la leggenda, ma allo stesso tempo la tragedia del Grande Torino. Una squadra imbattibile, una vera e propria armata vincente che ha scritto capitoli immensi nei libri di calcio e non solo.
Il Grande Torino porta a casa, tra il 1942 e il 1949, ben 5 titoli nazionali e una Coppa Italia, riuscendo anche a realizzare il primo double nella stessa annata. Ed è proprio sulla linea di questa squadra di campioni che prende forma la nazionale italiana, composta da ben 10 giocatori granata. Impossibile non ricordare Valentino Mazzola, non un semplice capitano, ma lo spirito guida, il mentore e leader indiscusso della formazione.
Una squadra che ha sempre dato tutto in campo e che si è costruita passo dopo passo, diventando una realtà importante, quella del Grande Torino. Una rosa storica e che vede nella sua formazione tipo quella composta da: Bacigalupo, Ballarin, Moroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. Nomi noti e di spessore, ma ancor di più lo è ciò che hanno fatto provare ai loro tifosi giocando a calcio e immergendoli in una sorta di favola.
Come tutte le favole che prima o poi sono destinate a finire anche quella del Grande Torino si è spenta, ma con un epilogo da brividi e che mai verrà dimenticato. 4 maggio 1949, una data maledetta, una data che ha lasciato un vuoto immenso nel cuore di tutti gli appassionati di calcio e non solo, perché è qui si ferma il tempo per un attimo. Un tempo che non fa sconti e che non riprenderà mai più il suo ticchettio perché a verificarsi è ciò che nessuno può immaginare.
L’aereo del Toro, durante il viaggio di ritorno da Lisbona dopo la gara contro il Benfica, si schianta contro la basilica di Superga non lasciando scampo alla squadra. Una catastrofe che mette fine alla vita e alla carriera di ragazzi pieni di sogni e aspirazioni e che segna il mondo del calcio in maniera profonda. Ed è così che, tra lacrime e pianti di dolore, si chiude un capitolo importante della storia del club granata, forse il più importante, ossia quello del Grande Torino.
Dalla tragedia alla rinascita: l’era Pianelli
Quella tragedia aerea continua a riecheggiare e porta così il club ad un lento e doloroso declino che vede il suo picco più profondo nel 1959. Un anno maledetto e che trascina con sé il Torino verso la prima retrocessione in Serie B. Tocca così il fondo del bicchiere il club granata che, nel momento più buio e di maggior difficoltà, riesce però a rivedere la luce con la presidenza di Orfeo Pianelli nel 1963, ma soprattutto con l’approdo in panchina di Gigi Meroni.
Una ripresa lenta del Torino e che vede nell’annata 1967-1968 la chiave per tornare a sognare. Infatti, nonostante la tragica scomparsa di Gigi Meroni, il club granata torna vittorioso alzando la Coppa Italia replicata poi anche nella stagione 1970-1971. E dunque si apre così un nuovo ciclo di trionfi sotto la guida Pianelli e che non può far altro che onorare e ricordare chi, qualche anno prima, per volare in alto e sognare in Grande aveva perso la vita.
Un ciclo fatto di lotte continue per la conquista del campionato contro l’eterna rivale, ovvero la Juventus, e che vede il Torino dare il meglio di sé fino a quando non arriva il tanto atteso momento. La stagione è quella del 1975-1976, il club granata è in piena lotta con i bianconeri per il titolo, ma la passione e il cuore vanno oltre ad ogni cosa, oltre l’ostacolo e portano il Toro a ribaltare il match più importante, quello contro i loro acerrimi nemici.
Ed è in quel momento che il battito del cuore prende il sopravvento perché sa cosa ha dovuto affrontare per arrivare fino a questo punto, perché è consapevole del fatto che nessuno conosce quella sensazione di vuoto struggente. Basta così un attimo per far tornare bambino ogni tifoso granata e farlo piangere per un titolo che vale più di ogni altra cosa, un titolo speciale, un titolo che fa tornare il Torino Grande dopo 27 anni dalla tragedia di Superga.
Torino, l’impresa non riuscita: la Coppa Uefa che sfugge
Quando si è in vetta è più facile scivolare e farsi male. Questo è quello che è successo al Torino che, dopo la vittoria del campionato, ha visto un netto calo che lo ha portato, nella stagione 1988-1989, a retrocedere in Serie B. Questo però non scalfisce minimante il club granata che risponde presente, a testa alta e petto in fuori, al richiamo dei propri tifosi. Un richiamo dettato dalla fame e dalla voglia di ritornare più forti di prima superando così ogni ostacolo.
Ed è proprio lungo questa scia che il Torino, dopo esser risalito nella massima divisione italiana nel 1989-1990, sotto la guida di Emiliano Mondonico, si qualifica prontamente alla Coppa Uefa. A lasciare un segno indelebile però, nel cuore dei tifosi granata, è stata l’annata del 1991-1992. Un cammino diverso dagli altri e che ha visto il Toro andare ad un passo dalla gloria, ad un passo dal scrivere una pagina di storia non solo del calcio italiano, ma anche mondiale.
La grande cavalcata del Torino parte con il passaggio dei primi due turni contro il Reykjavik e il Boavista, per poi andare a scontrarsi agli ottavi contro l’AEK Atene e ai quarti con il B 1903. Il Toro riesce a surclassare tutte le squadre che ha di fronte, arrivando così in semifinale e qui cambia la storia perché a presentarsi sono gli spagnoli del Real Madrid. Dopo la vittoria dei Blancos al Bernabeu per 2-1, il club granata sembra essere con un piede fuori dalla competizione, ma così non è.
Infatti il Torino nella gara di ritorno mette l’anima in campo, dominando e portando a casa un 2-0 che ha un solo significato: l’accesso alla finale. Ed è qui che il tempo sembra essere infinito, sembrano infiniti gli attimi che si frappongono tra lo spogliatoio e il campo perché il Toro lo sa che è un’occasione più unica che rara. Un’opportunità che rimane viva dopo il match d’andata che vede i granata pareggiare per 2-2 contro l’Ajax.
A dare la speranza è la doppietta di Casagrande per il Torino che risponde così ai gol di Jonk e Petterson, rimandando tutto al secondo e ultimo atto, quello di Amsterdam. Qui il Toro scende in campo più voglioso che mai, mette il cuore in ogni singola azione e colpisce per ben tre volte i legni della porta dell’Ajax. Una serata che sembrava poter andare per il verso giusto e che, al di là del risultato, avrebbe trasformato gli eroi granata in delle vere e proprie leggende.
A volte però anche gli eroi cadono, ma sempre a testa alta. Sono costretti ad arrendersi ed accettano la sconfitta dalla quale non possono far altro che imparare per diventare più forti, trasformandola in una lezione di vita. Ed è così che il Torino, nonostante il grande cammino fatto, si inginocchia nella duplice sfida in finale con l’Ajax a causa dei gol subiti in casa.
Dal fallimento alla rinascita, il Torino cade e si rialza come Bruce Wayne
La grande delusione per la Coppa Uefa lascia così i suoi strascichi con il Torino che riesce ad alzare solamente un’altra Coppa Italia nel 1992-1993, ma da lì inizia il buio. La situazione economica del club peggiora, cambiano allenatori, presidenti, ma il risultato è sempre lo stesso. Continua così la grande altalena che vede i granata salire e scendere in maniera incessante dalla Serie B alla Serie A, dando segni di instabilità evidenti.
Quando il peggio sembrava ormai essere arrivato, a dare la mazzata finale al Torino sono stati i problemi finanziari mal gestiti dal presidente Cimminelli che valgono al club la non ammissione al campionato e il conseguente fallimento societario. Un colpo basso e doloroso, al quale nessuno riesce a credere, soprattutto chi il Toro lo ha nel proprio cuore. Sembra dunque essere l’epilogo, la caduta definitiva dei granata, l’arrivo della notte e del buio più profondo.
Ed è proprio parlando di questi temi che ritorna più forte che mai una celebre citazione: “Sai perché cadiamo Bruce? Per imparare a rimetterci in piedi”. Una frase ricca di significato e che proviene dal film Batman Begins dove Bruce Wayne, il protagonista nonché l’eroe della pellicola, dopo esser caduto in un pozzo buio viene risollevato dal padre Thomas che gli sussurra queste parole.
Delle parole cariche di forza che ritorneranno nell’arco delle lotte di Batman per difendere Gotham City. E così, proprio come il piccolo Bruce Wayne, anche il Torino è caduto, ma ha assorbito il colpo e si è rimesso in piedi. Una dimostrazione di coraggio da parte di entrambi perché molte volte risulta più facile arrendersi e piangersi addosso, piuttosto che affrontare la nuda e cruda realtà dei fatti combattendo e soffrendo.
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Questo è ciò che ha contraddistinto Bruce Wayne, ma anche il Torino nelle loro rispettive storie. Siamo nel 2005, quando viene presentato e accettato il ricorso, con la FIGC che affida alla Società Civile Campo Torino il titolo sportivo di Torino Calcio permettendole l’scrizione alla Serie B. Qui, da questo preciso momento, prende forma e vita una nuova era, un nuovo ciclo che ha per presidente Urbano Cairo con il quale la denominazione della società cambia ancora, diventando così Torino Football Club.
Torino, il ciclo firmato Cairo
Con l’approdo di Cairo si muovono le acque di un nuovo inizio. Il presidente decide di affidare la panchina del Torino nel 2011 a Gian Piero Ventura. Una scelta azzeccata e che portò il Toro prima a conquistare l’accesso alla Serie A per poi, l’anno successivo, mantenere il posto nella massima divisione italiana grazie alla salvezza raggiunta. La svolta però arriva nell’annata 2013-2014 che vede un’impennata improvvisa da parte del club granata.
Infatti il Torino riesce a chiudere la stagione al 7° posto in classifica, conquistando così la possibilità di disputare l’Europa League e facendo rivivere ai propri tifosi notti magiche. Il pubblico inizia così a fantasticare su un cammino, seguendo la scia del percorso datato 1991-1992 in Coppa Uefa, ma con un finale completamente opposto. Grandi protagonisti delle fortune raccolte dal Toro sono Ciro Immobile e Alessio Cerci che insieme riescono a formare un tandem d’attacco temuto da tutti.
Nonostante ciò, la stagione successiva non va secondo le aspettative con il Torino che esce ai quarti di finale di Europa League e conclude al 9° posto in classifica. Da quel momento in poi per il Toro si sono susseguiti una serie di anni all’insegna della monotonia e che lo hanno visto sempre viaggiare sullo stesso binario. Un binario che sembra essere infinito senza mai sfigurare, ma allo stesso tempo senza mai regalare grandi emozioni e sorprese alla propria gente.
Ed è così che nel corso degli anni si sono susseguiti anche molti allenatori, ognuno dei quali ha lasciato una parte di sé e del suo modo di intendere il gioco del calcio. Chi più di tutti ha marchiato in maniera indelebile il cuore del Torino è stato Mihajlovic che si è preso cura del club come fosse il suo bambino, mettendo sempre al 1° posto le aspirazioni e i sogni della gente. Dopo l’addio del tecnico serbo a subentrare sulla panchina del Toro è stato Walter Mazzarri.
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A rappresentare l’unica parentesi negativa del Torino degli ultimi anni sono stati Giampaolo e Davide Nicola. Infatti i due allenatori hanno preso, in quell’anno, un club alla costante ricerca della zona salvezza. La preoccupazione è sempre stata quella di allontanarsi, gara dopo gara, dalla parte calda della classifica, ovvero dalla retrocessione. Una battaglia dura, ma che alla fine è stata vinta grazie al pareggio per 0-0 contro la Lazio che ha regalato la salvezza al Toro.
Torino, il presente è Juric
Per risollevare le sorti del Torino nel 2021, Cairo ha voluto puntare su un tecnico di grande affidabilità, ovvero Juric. Non un allenatore qualsiasi, ma che ha fatto della gavetta la sua arma principale, vista la tanta esperienza acquisita, soprattutto quando si parla di far quadrare i conti nell’ambito dello spogliatoio. Il presidente del Toro ha capito la grande caparbietà del croato fin da subito, fin dalle sue prime apparizioni con l’Hellas Verona che con lui ha cambiato volto.
Ed allora, nonostante qualche incomprensione e litigio, tra il Torino e Juric si è instaurato un rapporto di fiducia che sta pian piano riportando il club in alto e verso nuovi obiettivi. L’ultima stagione disputata ne è la prova con il Toro che è arrivato al 10° posto in classifica e a soli 9 punti dalla zona Uefa Conference League occupata dalla Juventus. Una scia che il club granata dovrà continuare a seguire se vorrà alzare, anno dopo anno, l’asticella delle ambizioni.
Un’asticella sulla quale dovrà lavorare molto Juric, ma anche e soprattutto il presidente Urbano Cairo per raggiungere un obiettivo più importante. Una vetta da conquistare per il club granata che ha tutte le carte in regola per arrivarci e per far rivedere a tutto il mondo, attraverso un velo che nasconde gli anni passati, la parvenza e l’illusione del Grande Torino di una volta.