Il Bologna scalcia via una Roma rimaneggiata, nervosa e mai pericolosa. La Lazio, qualche ora dopo, tiene testa all’Inter capolista che si dimostra superiore nei momenti che contano, approfittando delle imperfezioni dei singoli. In una città abituata a splendere, il weekend calcistico ha portato un buio insolito di cui il risultato finale dei due match è solo una delle cause. Resta difficile identificare di quale Peccato Capitale – il gioco di parole è semplice – si siano macchiati Mourinho e Sarri, in una stagione finora che balla sulle montagne russe. Ma scavando, come in un antico foro romano, qualcosa viene sempre fuori.
Roma nervosa: un Mourinho cervellotico
La sponda giallorossa del Tevere seguita a cantare e recitare lo stesso ritornello da inizio campionato. Singoli formidabili a centrocampo in attacco ma fisicamente fragili, difensori numericamente e tecnicamente insufficienti, portiere incerto e un gioco che latita. Semplicistico riassunto? Forse, ma i fatti non fanno nulla per smentirlo. La Roma che perde a Bologna lo fa in partenza, dimenticandosi tra le tante cose di seguire l’inserimento di Moro che sigla l’1-0. Scordando apparentemente di giocarsi un quarto posto momentaneo, che i rossoblu si riprendono con merito approfittando anche delle assenze di Dybala e Lukaku.
“Senza Paulo non c’è qualità, senza Romelu manca fisicità” sintetizza lo Special One. Un parziale alibi che si somma con la durissima analisi che emerge dal Dall’Ara, dove Thiago Motta scardina senza fatica il triangolo degli orrori formato da Spinazzola, Ndicka e Cristante. Il tutto, senza che Mourinho alzi un dito per rinforzare la zolla fallace. Anzi, di colpo, arriva il cambio di Renato Sanches dopo 18′ dal suo ingresso, che aumenta i malumori e genera le scuse di José a favore di telecamera al termine del match. Una scelta cervellotica che sottintende la scarsa serenità che circola in panchina, riproposta in campo da un atteggiamento spesso nervoso ed aggressivo che indispettisce arbitri e avversari.
Lazio fragile: Sarri, le riserve?
Percorrendo un ponte a vostra scelta nella Roma tagliata a metà dal suo celebre fiume, si giunge agevolmente dall’altra parte. Qui dimora la Lazio, che sembra aver impostato due piloti automatici differenti a inizio stagione: uno per l’Europa e uno per la Serie A. In Champions il cammino è stato inattaccabile e la prima sconfitta è giunta già ad ottavi conquistati, per mano del più ben quotato Atletico. Sembrerebbe che Sarri abbia voluto conservare tutti i grattacapi per il torneo nazionale, in cui i suoi raccolgono poco. Talvolta, come contro l’Inter, anche esprimendo un buon calcio.
In casa Lazio, dunque, il problema non è da ricercare nella coralità mancante o nelle scarse occasioni create. Nemmeno nella dipendenza da questo o quel calciatore, visto che ad esempio la chance sul piede di Rovella arriva senza il contributo di Luis Alberto, il maggior talento fino a quel momento seduto in panchina. E forse, proprio per questo, i guai biancocelesti sono più delicati da affrontare rispetto a quelli dei cugini.
Questo perché partono da errori grossolani da parte dei singoli, che già da tempo vengono individuati come anelli deboli ma tali rimangono, senza alcuna possibilità di essere sostituiti adeguatamente. Calciatori come Lazzari e Marusic, per citare i peggiori in campo, sembrerebbero aver dato tutto alla causa e necessitano quantomeno di rotazioni. Turnover che Sarri non accenna a muovere, pur potendo provarlo con Hysaj e Pellegrini, quest’ultimo oggetto misterioso.
In seconda battuta, alla Lazio è totalmente assente il “peccato” di gola. La formazione di Lotito non è affamata come un anno fa, come se la Champions conquistata nello scorso campionato abbia riempito a sufficienza la pancia dei calciatori. Di certo, ed è giusto precisarlo, il processo all’operato di Sarri in questa stagione non parte con la sconfitta contro l’Inter, squadra più forte d’Italia. Ma proprio per questo la più capace di evidenziare le nudità tecniche, più che tattiche, di una squadra che in Serie A è l’ombra di se stessa.
Colpe e soluzioni
Colpa soltanto degli allenatori? Troppo semplice e riduttivo per Roma e Lazio, ingiusto per Mourinho e le sue finali europee e Sarri, con la qualificazione nell’Europa dei grandi conquistata da secondo in classifica. Tuttavia, è innegabile che la vera rivoluzione nella Capitale debba partire da loro: trofei e traguardi esauriscono la propria aura una volta conquistati. Servirebbe una scossa comunicativa e tattica in un caso, di costanza in atteggiamento e spirito dall’altra. C’è ancora più di metà stagione da giocare e le ombre sulla città più iconica di tutte iniziano ad allargarsi in maniera preoccupante.