Il numero 2 è oggetto di una grande storia e tradizione. Si parla di quei calciatori che vivono per la corsa, per macinare chilometri sulla fascia, arrivare a fondocampo per crossare e poi tornare in posizione. Un ruolo che richiede polmoni, ma soprattutto tanto spirito di sacrificio e cuore. Tale cifra oggi alla Roma è sulle spalle del tanto discusso Rick Karsdorp, al centro dell’occhio del ciclone per la vicenda che lo ha visto protagonista dello sfogo di Mourinho. Aldilà di questa situazione però, molti hanno indossato questa maglia, ma in pochi hanno saputo darle il rispetto e l’onore che merita.
Sebastiano Nela, il beniamino dei tifosi
Più di un semplice calciatore, un vero e proprio idolo per la tifoseria che lo ha, fin dal suo arrivo, acclamato e fatto sentire a casa: il suo nome è Sebastiano Nela. Nato a Rapallo, cresce nelle giovanili del Genoa dove, viste le sue grandi qualità, esordisce in prima squadra nel 1978, quando la società rossoblù milita in Serie B. Un ragazzo di 16 anni che si ritrova catapultato in una realtà così grande, ma che allo stesso tempo gli calza perfettamente addosso. Passa il tempo e le sue prestazioni lo rendono sempre più esposto alle lusinghe dei grandi club come la Roma, al punto che, nel 1981, lascia il Grifone per andare nella Capitale.
Un’occasione unica e irripetibile per Nela che sogna di entrare nell’Olimpo del calcio, ovvero dove le migliori squadre si affrontano faccia a faccia: la Champions League. Un certo Nils Liedholm, tecnico della Roma, si accorge delle grandi qualità di Sebino e lo porta nella Capitale. Sebastiano è un semplice ragazzo di 20 anni e all’improvviso si ritrova a giocare al fianco di campioni del calibro di Falcao, Conti e Pruzzo. Il carattere del giovane lo spinge a dare di più e a dimostrare di cosa è capace, nonostante tutti avessero già capito di avere davanti un grande giocatore.
Nela, una futura leggenda
Nils Liedholm decide di cambiare completamente la posizione di Nela da centrocampista a terzino per la sua potenza fisica e per la sua grande velocità. Lo stesso allenatore svedese parla di Sebino come un grandissimo giocatore in grado di ricoprire qualsiasi posizione. La Curva Sud infatti, lo inizia ad osannare con il coro “Picchia Sebino” per il suo modo di entrare a volto molto duro. Dopo tante fatiche arriva la vittoria della Roma contro il Torino valida per il trionfo della Coppa Italia nel 1981, la quarta per la società giallorossa.
Passa il tempo e Nela, da giovane promessa, diventa sempre più una certezza e un punto di riferimento per la squadra. Sebino e i suoi compagni continuano a macinare vittorie trovando lo scudetto nel 1983 e la prima partecipazione alla Coppa dei Campioni per il terzino italiano, scrivendo la storia della Roma. Dopo le tante gioie però, arriva una grande batosta per il morale della compagine giallorossa: la sconfitta in finale contro il Liverpool guidato da Ian Rush. Una grande delusione per Sebastiano che in cuor suo sa che difficilmente avrà una seconda possibilità con la squadra capitolina. Nel momento migliore della sua carriera inoltre, il classe ’61 incontra un ostacolo più grande di lui: il ginocchio. Il 10 maggio 1987 infatti, nella gara contro la Sampdoria, subisce un grave infortunio che lo vede protagonista di urla e lacrime di dolore.
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Da quel momento in poi inizia un grande momento buio, che vede Nela seguire i compagni nel ritiro in Trentino, ma senza potersi unire a loro. Quello che più pesa a Sebino in quel periodo è l’assenza di un vero e proprio supporto morale. L’unico a rimanergli vicino è Carlo Ancelotti che gli dà le sue vecchie stampelle dicendogli che anche a lui avrebbero portato fortuna. Una brutta parentesi nella storia di Sebastiano che lascia la sua amata Roma nel 1992 dopo aver giocato 281 partite e aver realizzato 16 gol. Dopo le ultime esperienze al Napoli e al Civitavecchia, nel ’96 decide di ritirarsi dal calcio lasciando un vuoto immenso nel cuore dei tifosi giallorossi. La società capitolina, inoltre, decide di inserire Hulk nella Hall of Fame. “Non sono romano di nascita, ma lo sono d’adozione. La tifoseria giallorossa si scopre nei momenti difficili, quelli in cui ho capito cosa significa essere della Roma” queste le parole di un calciatore che sempre rimarrà nel cuore della Curva Sud.
Il Pendolino Cafu
Il prototipo perfetto del terzino di spinta, veloce, potente e in grado di superare l’uomo grazie alla sua classe brasiliana: questo è Cafu. Nato e cresciuto a Jardim Irene, fin dai suoi primi calci al pallone mostra un grande potenziale. L’inizio di carriera del futuro giocatore della Roma, però, è tutt’altro che semplice. Rifiutato da molte delle giovanili più affermate del Brasile, riesce ad indossare nell’88 la maglia del San Paolo dove, all’età di 19 anni, diventa titolare. Con il passare del tempo dimostra di essere uno dei più grandi prospetti del calcio sudamericano e il suo nome inizia a girare in Europa. Dopo tante lusinghe alla fine è il Real Zaragoza ad aggiudicarselo nel 1994. Nella squadra spagnola però, non riesce a trovare spazio e continuità, quindi decide di tornare in patria dove stavolta ad acquistarlo è il Palmeiras.
Le sue prestazioni salgono nuovamente di livello e finalmente, nel 1997, arriva la grande occasione per Cafu che viene contattato dalla Roma, club che ha ospitato molti fuoriclasse. Dopo una sola stagione con la maglia giallorossa i tifosi si innamorano del brasiliano che viene soprannominato Pendolino, per la sua propensione a correre avanti e indietro sulla fascia. Nel ’99 arriva la svolta con l’approdo in panchina di Fabio Capello che rende l’ex Palmeiras il perno fondamentale della fase offensiva della squadra.
I tanti sacrifici fatti fin da bambino e nel corso della sua carriera vengono ripagati nel 2001, quando Cafu vince lo scudetto con la Roma. Una grande emozione per un ragazzo che, partito dal nulla, arriva a festeggiare un trofeo in una piazza grande e calorosa come quella della Capitale. Sull’onda dell’entusiasmo e surfando sulle sue doti brasiliane il Pendolino sforna giocate da fuoriclasse. Prima su tutte è quella dei sombreri su Pavel Nedved durante il derby contro la Lazio nel 2000. Tre anni dopo la società capitolina decide di non rinnovare il suo contratto, decretando così la fine della storia d’amore tra un grande calciatore e una tifoseria dal cuore d’oro.
Panucci, il difensore prolifico
Panucci è stato il prototipo perfetto del terzino prolifico, in grado di segnare un grande numero di gol senza però trascurare la fase difensiva. Dopo aver girato diverse squadre, come Genoa, Milan, Real Madrid, Inter e Chelsea, nel 2001 si trasferisce alla Roma, che vanta grandi calciatori nella sua storia. Con il passare del tempo diventa un punto fermo della rosa giallorossa con la quale vince diversi trofei. Tra questi ci sono la Supercoppa italiana nel 2007 e due Coppa Italia rispettivamente nel 2006-2007 e nel 2007-2008. Riesce a conquistare l’amore della Curva Sud e la tifoseria entra nel suo cuore, ma nel 2009 le loro strade si separano dopo ben 229 partite e 20 reti.
Antonio Rudiger, il muro tedesco
Uno dei giocatori che forse, per il ruolo che occupa, è quello che meno è associabile alla numero 2. Antonio Rudiger infatti, nonostante possa giocare anche da terzino, rappresenta la figura del difensore centrale dotato di grande fisicità e di buone doti atletiche. Nato a Berlino, cresce in una famiglia che il calcio lo vive a 360 gradi e dove, lo stesso fratellastro, Sahr Senesie arriva a giocare nel Borussia Dortmund. Dopo essersi affermato con la maglia dello Stoccarda a mettere gli occhi sul giovane calciatore è la Roma, molto attiva sul mercato. La società giallorossa decide di acquistarlo nel 2015, ma la stagione del tedesco non inizia nel migliore dei modi. Poche le presenze e soprattutto prestazioni sottotono ecco cosa caratterizza il primo periodo di Toni nella squadra capitolina.
Con il passare del tempo però, la sua condizione fisica cresce e di conseguenza anche il suo rendimento migliora in maniera vertiginosa. Nel corso dell’anno diventa un punto di riferimento fondamentale della rosa della Roma e soprattutto riesce ad entrare nel cuore del tifo giallorosso. Nel suo momento migliore però, accade l’impensabile: rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Da qui inizia la grande lotta di Toni verso il recupero che riesce a tornare in campo con tempi record, nell’ottobre del 2016. L’anno seguente lascia la città eterna per trasferirsi al Chelsea concludendo la sua esperienza nella Capitale con 56 presenze e 2 gol.
Rick Karsdorp, il treno olandese
Nato in Olanda, Karsdorp cresce calcisticamente nelle giovanili del Feyenoord con cui esordisce in prima squadra nel 2014. Proprio durante questa sua prima esperienza gli viene dato il soprannome di treno olandese per la sua corsa e per la quantità di assist forniti. Le sue prestazioni lo mettono sotto i riflettori delle big d’Europa e ad acquistarlo, nel 2017, è la Roma, club dalla grande storia. La sua prima annata giallorossa non inizia nel migliore dei modi a causa di un problema al ginocchio che lo tiene fuori più del previsto. La società capitolina decide così di mandarlo in prestito alla sua squadra d’origine dove rimane una sola stagione per poi tornare nella città eterna nel 2020.
Da questo momento in poi inizia la vera avventura di un giocatore che, dopo svariati problemi fisici, sembra aver ritrovato la condizione ottimale. Durante quella stagione con Fonseca come allenatore, Karsdorp diventa sempre più una risorsa importante per la squadra fino a diventarne un titolare inamovibile. Con l’arrivo di Mourinho sulla panchina della Roma le cose non cambiano e il terzino olandese arriva anche a vincere una Uefa Conference League contro il Feyenoord, la sua ex compagine. Una serie d’emozioni contrastanti per il numero 2 giallorosso che alza per la prima volta un trofeo europeo, ma contro la società che lo ha fatto diventare grande. Ad oggi, dopo le sfuriate dello Special One, il futuro del classe ’95 rimane ancora molto incerto e bisognerà aspettare gennaio per vedere quali saranno i risvolti di questa situazione.